lunedì 26 settembre 2011

I soldi Celtici al sud



In Germania
I costi della riunificazione sono stati un grosso fardello per l'economia tedesca, ed hanno contribuito ad una più lenta crescita economica negli anni recenti. Il costo della riunificazione è stato stimato intorno ai 1.500 miliardi di Euro (secondo Freie Universität Berlin). Questa cifra è più grande del debito nazionale dello stato tedesco. La prima causa di tale spesa fu la debolezza dell'economia della Germania Orientale, specialmente a confronto di quella della Germania Occidentale, combinata con la decisione, motivata politicamente, di fissare diversi tassi di conversione tra Marco della Germania Orientale e Marco tedesco. Questa decisione, che non aveva una giustificazione nella realtà economica, risultò in un'improvvisa perdita di competività delle industrie tedesche orientali, che le fece collassare in breve tempo. A tutt'oggi uno speciale trasferimento di 100 miliardi di Euro ogni anno viene dato ai territori dell'ex-Germania Est per la "ricostruzione".
Fornire beni e servizi alla Germania Orientale ha posto sotto notevole sforzo le risorse della Germania Occidentale. Le industrie in perdita, precedentemente supportate dal governo tedesco orientale, sono state privatizzate.
Come conseguenza della riunificazione, la maggior parte della ex-RDT ha subito una de-industrializzazione, che ha causato un tasso di disoccupazione di circa il 20%. Da allora centinaia di migliaia di tedeschi orientali hanno continuato a migrare verso l'ovest per trovare lavoro. Ciò risultò in una significativa riduzione della popolazione nei Länder orientali, specialmente per quanto riguarda i professionisti altamente qualificati.
Vi è da notare, però, come tale divario, al 2009, si stia sempre più assottigliando, fino a prevedere che si azzeri entro il 2019.

In Italia

La Cassa del Mezzogiorno, fonte di tanti costi per lo Stato, di tanti guai e di tanto sudore costato a quella fascia di popolazione (celtico/ariana) che lavora. La Cassa ha operato dal 1951 al 1984 quando il governo di Bettino Craxi ne decise la soppressione, anche se continuò ad operare con il nome Agensud, fino al 1993, quando venne definitivamente chiusa dal governo di Giuliano Amato.

Con tale legge istitutiva si approvava un “programma quinquennale contenente gli obiettivi generali e specifici dell’intervento straordinario e l’indicazione dei loro effetti sulla occupazione, la produttività ed il reddito” affermando che “lo sviluppo delle Regioni meridionali costituisce obiettivo fondamentale del programma economico nazionale”, l’intento quindi era quello di finanziare opere straordinarie, che dovevano essere funzionali alla formazione di un tessuto infrastrutturale che favorisse l’insediamento dell’industria e lo sviluppo dell’agricoltura e della commercializzazione dei prodotti agricoli nell’Italia meridionale. Ciò, purtroppo, come ben sappiamo, non è avvenuto. Solo nel primo decennio la Cassa ha tentato di ridurre lo squilibrio economico tra le due grandi aree del Paese, dedicandosi al miglioramento della viabilità, alla costruzione di dighe per le centrali idroelettriche, alla costruzione di fognature e acquedotti, non tralasciando il risanamento idrogeologico di zone particolarmente esposte a tale rischio. Successivamente è iniziato il degrado e la bassa qualità della spesa, compresi fenomeni diffusi di illegalità ed il passaggio definitivo alla politica assistenzialistica nella gestione dei fondi di cui veniva dotata la Cassa per il Mezzogiorno. Nel quarantennio di attività, l’investimento complessivo della Cassa per il Sud è stato calcolato in 279.763 miliardi di lire (circa 140 miliardi di euro), con una spesa media annuale di 3,2 miliardi di euro. Cifre molto grosse, ma esaminandole bene si


scopre che esse risultano essere circa lo 0,5% del PIL, (corrispondente alla somma annua versata attualmente dall’Italia per gli aiuti ai Paesi del Terzo mondo e sicuramente inferiore al costo del ripianamento del deficit delle Ferrovie dello Stato) contro gli investimenti pubblici al nord che nello stesso periodo assorbivano il 35% del prodotto interno lordo.. Volendo aggiungere al danno la beffa, il Senatore a vita Emilio Colombo scrive: “La Cassa operò per modernizzare il Sud e creò le condizioni per un grande mercato di cui profittò la struttura industriale del Nord pesando sulla ineguale «ragione di scambio» tra industria e agricoltura e quindi tra Nord e Sud e per classi e generazioni”.


La legge del 1950, infatti, prevedeva che gli enti locali potessero evitare la gara dando gli appalti attraverso trattative dirette in concessione, ciò causò, come ricorda Gerardo Marotta, fondatore dell’Istituto per gli Studi filosofici, che poiché al concessionario “era possibile trattenere per sé la maggior parte dei soldi”, accadde che “si precipitarono nel Sud le industrie del Nord, che fecero man bassa per la costruzione delle dighe. Venivano a costare anche 100 volte più del dovuto”. Nacquero così negli anni ’60 le cosiddette «cattedrali nel deserto», non utili al Mezzogiorno, ma progettate in funzione dello sviluppo del Nord. Citando il prof. Uccio Barone:”si pensi al centro siderurgico di Taranto che ha prodotto i tubi di ghisa impiegati per la realizzazione del grande gasdotto siberiano, e pagati dai russi con la fornitura a basso prezzo di energia per le regioni settentrionali. Gli stessi poli petrolchimici di Priolo-Melilli, Gela e Milazzo sono risultati funzionali all’autosufficienza energetica del Nord industriale, lasciando alla Sicilia i guasti del dissesto ambientale. Nell’ultimo periodo, infine, la crisi economica mondiale e l’impatto traumatico della globalizzazione hanno dissolto l’azione della Cassa in interventi frantumati di «salvataggio» a sostegno di aree colpite dalla de-industrializzazione”. In uno studio del Fondo Monetario Internazionale si attesta che nell’ultimo periodo di vita della Cassa le imprese che hanno beneficiato dei finanziamenti sono state grandi imprese del nord per l’88,33% e del Sud per il 9,4%

Considerato che il sistema produttivo del sud con l’unità d’Italia è stato distrutto dalla concorrenza delle imprese del nord e dalla politica industriale, monetaria e tributaria piemontese, la Cassa del Mezzogiorno doveva rappresentare la spinta propulsiva per un nuovo sviluppo industriale meridionale. Così non è stato, e la Cassa, invece ha prodotto solamente sprechi che hanno favorito il prosperare della delinquenza, della corruzione, delle mafie, a discapito della stragrande maggioranza di cittadini che ogni giorno onestamente tirano la loro carretta (e pagano anche le tasse) per poi sentirsi anche denigrare da qualche zotico padano. Per questo e per mille altri motivi, al sud, in molti sono in apnea in attesa di qualcuno che porti avanti le istanze meridionali non in chiave territorialista, ma operando un confronto sereno ed aperto con tutte le realtà del Paese continuando a considerare l’Italia unica, senza separatismi, senza contrapposizioni, senza beceri interessi di bottega che possano essere presi in considerazione solamente da chi è “arretrato” non dal punto di vista geografico, ma culturale. E’ giunta l’ora di smetterla con il vittimismo, di dire basta alla ghettizzazione ed alle continue ingiurie operate da schizofrenici meridionalfobici, rivendichiamo il diritto all’uguaglianza, intesa come diritto di tutti noi ad avere le medesime possibilità. Reagiamo compatti, nei confronti di chi attenta all’unità nazionale, evitando di minimizzare gravi vilipendi, derubricandoli a mero folklore o a propaganda fine a se stessa.


Di Carlo Napoli



Credo sarebbe il caso di prendere esempio dai tedeschi se vogliamo che l’Italia tutta cresca.
Altrimenti crollerà sia il meridione che il nord.
Farebbe bene, il Sig. Bossi a smetterla con questa stronzata dei costi per il sud. A ben guardare, la cosiddetta montagna di soldi piovuta al sud è servita solo alle aziende del nord che si sono ingozzati di danaro, alla criminalità organizzata e a qualche rarissimo politico disonesto che, oltre ad arricchire il proprio portafoglio ha ingrassato le casse del proprio partito.

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